STORIA DELLA CANAPA INDUSTRIALE IN ITALIA
La canapa è stata coltivata fin dal settimo secolo A.C., quando fu introdotta dalle popolazioni nomadi sciite che la portarono nel sud della Russia.
Da qui si propagò in tutta l’Europa centro settentrionale, in Asia Minore, Grecia, Italia, Francia.
La data in cui la cannabis è stata introdotta in Europa è sconosciuta, ma probabilmente risale ad almeno 500 anni prima di Cristo, in quanto a Berlino è stata ritrovata un’urna contenente foglie e semi di cannabis risalente a 2.500 anni orsono. La sua coltivazione in Europa è stata massiccia per secoli. Vestiti di canapa sono stati comunissimi in Europa centrale e meridionale per centinaia di anni. Ma gli europei conoscevano, ovviamente, anche le potenzialità ricreative della pianta. Francois Rabelais ne scrive ampiamente nel sedicesimo secolo. L’uso della cannabis arrivò anche in Africa, secoli prima della colonizzazione europea. In Africa la cannabis era coltivata, utilizzata come fibra e come medicinale, inalata e a volte venerata in aree diversissime: dal Sud Africa al Congo al Marocco.
[Quella che segue, è la storia delle industrie di filati ottenute da questa pianta,
in Italia dal 1873 al 1923]
Secondo alcune fonti in Italia la canapa è stata usata per millenni. In pipe preistoriche ritrovate nel Canavese sono state riscontrate alcune tracce. La regione ai piedi delle Alpi prende il nome di Canavese proprio dalla Canapa. In Italia, l’uso della canapa per produrre filati di altissima qualità con metodi industriali risale alla fine del 1700. L’ultima copia di un Catalogo del Linificio e Canapificio Nazionale risale al 1923.Il valore di questo libro si aggira sui 250 euro, essendo considerato archeologia industriale. Questo catalogo venne stampato in copie limitate per i dirigenti degli stabilimenti industriali, in occasione del cinquantenario della fondazione del Canapificio Nazionale, cioè il 1873. E’ scritto in italiano, francese e inglese, contiene cenni storici e piantine topografiche dei campi e foto dei macchinari e sedi amministrative.
Voglio ricordare che la nascita del Linificio e Canapificio nazionale avvenne tre anni dopo l’effettiva unificazione nazionale, cioè dopo che Garibaldi entrò a Roma nel 1870. L’unità nazionale ha creato la necessità di un organismo unitario di industriali della Canapa. Il libro di cui sto parlando è equiparabile ad un moderno catalogo, che potrebbe stampare l’associazione industriali nazionale, per esempio per l’industria automobilistica. Insomma non erano drogati capelloni ma rispettabili e prestigiosi uomini d’affari.
Nel 1923, data di stampa del catalogo, queste industrie occupavano circa 20.000 persone. Producevano: filati greggi e candeggiati di Canapa per tessitura, tappeti, spaghi e corde, vele e sacchi, filati per cucire suole e per la pesca, cordame per marina e per ponteggi, gru, montacarichi, trasmissioni, cordicelle per tende, tende. Nonchè forniture per marina, esercito, ferrovie, poste, tabacchi, ospedali. Gli stabilimenti industriali erano una ventina, distribuiti prevalentemente al Nord. Il più moderno di tutti era quello di Lodi che fu costruito nel 1906, le tecnologie erano importate dall’Inghilterra, dove l’invenzione delle macchine a vapore aveva promosso quella che conosciamo come prima rivoluzione industriale.
Tutti gli stabilimenti erano vicino ad un corso d’acqua, che serviva sia per la produzione dell’energia a vapore necessaria a far funzionare gli impianti, che per la lavorazione del filato. Un’altra caratteristica comune a tutti gli stabilimenti era il ciclo di lavoro 24 ore su 24.
In prevalenza la mano d’opera era costituita da donne e
bambine che lavoravano di giorno e di notte anche 16 ore.
Pur persistendo il lavoro tessile a domicilio a fianco della manifattura meccanizzata, in quel contesto storico si sviluppò il lavoro delle donne nelle fabbriche, prevalentemente tessili. L’età media variava dai 10 ai 30 anni. L’inserimento di donne e bambine, significava l’intenzione di ridurre il costo del lavoro, perchè i salari erano più bassi di almeno il 25%, rispetto agli uomini. Inoltre servivano dita agili, pazienza, sopportazione, doti prettamente femminili. Il ciclo produttivo era così intenso che molti stabilimenti avevano i dormitori o convitti, per cui la vita delle operaie e degli operai era tutta lì: reparto-dormitorio-reparto. Questi convitti erano anche chiamati “chiostri industriali” ed erano un ingranaggio essenziale per il buon funzionamento della macchina commerciale.
Con una produttività così ben organizzata è evidente come l’Italia potesse essere la seconda al mondo per quantità di filati prodotti e la prima per la qualità. Infatti, nel catalogo è scritto che per risolvere il problema della concorrenza straniera sulle fibre, nel 1895 venne creata in Italia una delle più grandi corderie, precisamente nello stabilimento di Cassano D’adda. Tanto produttiva che esportava fino in sud America ed estremo oriente. (…) Genova aveva una fiorentissima industria di filati di Canapa.
Sampierdarena, già nel 1786 era conosciuta per gli abili cordai che producevano filati di Canapa per l’industria navale, per gli armamenti e per le attrezzature dei velieri. La più famosa era la Corderia Carrena che era ubicata alla Fiumara. Nel 1844 lo stabilimento venne trasferito nell’ area vicino alla odierna Stazione Ferroviaria di Sampierdarena. Nel 1905 questa Corderia era la prima, per quantità di produzione, di tutto il mediterraneo. Nel 1906 apriva un’ altro stabilimento a Cornigliano, i terreni coltivati a Canapa erano 4000 mq. Nello stesso anno veniva accorpata anche la Corderia Raggio, che era già fiorente nel 1766, con il suo stabilimento di Borzoli. Gli stabilimenti erano prevalentemente al Nord, mentre al sud il maggiore era quello di Frattamaggiore, dove veniva coltivato 1/3 della Canapa destinata agli usi industriali tessili.
Lì la pianta cresceva facilmente per le migliori condizioni di clima e suolo.
La maggior parte dei derivati tessili della Canapa di tutti gli stabilimenti descritti nel Catalogo del Canapificio Nazionale erano destinati alla marina mercantile, marina militare, ferrovie, esercito. La totalità della produzione di canapiera venne messa tutta al servizio dello Stato in occasione del I° conflitto mondiale. Tanto che il Ministero dell’Industria arrivò a fondare un sindacato di Filatori e Tessitori di Canapa nel 1918. Inoltre molti stabilimenti dovettero aumentare la produzione e superare molte difficoltà, perchè dall’estero non arrivavano più filati di lino. E’ noto inoltre, che nel primo conflitto mondiale, furono i contadini ad essere mandati al fronte a morire nell’inferno delle trincee, mentre gli operai di tutte le industrie, comprese quelle canapiere, dovettero sostenere una colossale macchina bellica. L’abnegazione delle operaie e degli operai Canapieri è significativamente rappresentata dalla storia dello stabilimento di Crocetta Trevigiana.
Questo stabilimento venne fondato nel 1882: “da alcuni benemeriti pionieri dell’industria che volevano dotare il Veneto di un opificio che utilizzasse la fibra vegetale eminentemente italiana, allo scopo di produrre spaghi e cordami, merce tutta di grande consumo popolare e quindi di presumibile ampio smercio, ove la si fosse saputa lanciare sui mercati mondiali”.
“L’estensione complessiva della coltivazione della canapa in Italia è attualmente da valutare attorno ai 90.000-100.000 ettari. Al primo posto è decisamente l’Emilia, in particolare la provincia di Ferrara, dove circa il 12% di tutta la superficie è lavorato a canapa. Nelle vicine province di Bologna e Modena questa coltivazione raggiunge solamente il 4,5% e il 2% circa della superficie”.
(Relazione sulla coltivazione e la lavorazione della canapa in Italia,
pubblicata dall’Ufficio per l’Interno del Reich, Berlino 1913).
L’industria Canapiera Italiana rimase fiorente ben oltre l’anno in cui fu stampato questo catalogo. Infatti ancora nel 1925, Benito Mussolini diceva, a proposito della Canapa e delle industrie Canapiere: “La Canapa è stata posta dal Duce, all’ordine del giorno della nazione, perchè per eccellenza autarchica è destinata ad emanciparci quanto più possibile dal gravoso tributo che abbiamo ancora verso l’estero nel settore delle fibre tessili. Non è solo il lato economico agrario, c’è anche il lato sociale la cui incidenza non potrebbe essere posta meglio in luce che dalla seguente cifra: 30.000 operai ai quali da lavoro l’industria canapiera italiana”.
Fu negli anni trenta che il regime fascista dichiarò l’hashish, un derivato ricreazionale, nemico della razza e droga da “negri”, nonostante che la coltivazione della canapa fosse studiata nelle scuole agrarie con tanto di manuali. Il processo storico che ci ha portato alle falsificazioni e alle mistificazioni odierne riguardo a questo vegetale, comincia anche in Italia negli anni trenta.
Durante la Seconda Guerra Mondiale però, la produzione medioeuropea e mediterranea tornava ad aumentare velocemente, perchè le fibre tessili e gli oli sativi diventavano più costosi. In più, esisteva l’esigenza di materie prime contenenti molta cellulosa da cui poter ricavare esplosivi ottenuti producendo nitrocellulosa.
A guerra finita il Consorzio Nazionale Canapa, sorto durante il fascismo per esigenze autarchiche, non pensò al miglioramento della produzione né a meccanizzare le varie fasi di lavorazione che avrebbero ridotto la fatica umana non più sopportabile dai nostri contadini, che polarizzarono i loro interessi su altre colture e sui tessuti di tipo industriale: rayon, naylon e cotone. Tra le varietà di canapa allora più coltivate ricordiamo la varietà “Carmagnola” e le derivate, quali la “Bolognese”, la “Nostrana”, la “Napoletana”. In Campania si coltivavano anche varietà di canapa turca. Il rifiuto delle faticose tecniche di macerazione, unitamente allo sviluppo dell’industria delle fibre sintetiche, all’aumento del costo del lavoro, ma soprattutto all’applicazione dell’art. 26 del D.L.gs 309/90 (Legge antidroga Jervolino-Vassalli), hanno decretato la fine della canapicoltura in Italia. L’ingiusto decreto non ci ha evitato la pioggia di droga, ma ci ha impedito di fruire per molti anni dei fondi CEE (Regolamento 1308/70, rinnovato – Reg. 624/97 – da Franz Fischler, che prevede un contributo di un milione e 414.500 lire per l’ettaro) previsti per la coltivazione della canapa da fibra, per uso industriale. In realtà non è stato tanto il Decreto (il divieto fù anche in sede Comunitaria solo per la “Cannabis indica” con alto contenuto del principio attivo THC -tetraidrocannabinolo- con proprietà psicoattive e non per la “Canapa sativa” da fibra), quanto la difficoltà degli organismi di controllo di distinguere morfologicamente le due varietà, e per anni hanno trovato legittimo sequestrare, sanzionare e incriminare non solo chi era e chi è colpevole di reato, ma anche gli agricoltori che, magari a loro spese, hanno riprodotto con pazienza ed abnegazione le vecchie varietà, come nel caso degli agricoltori di Carmagnola (To), le cui sementi sono ancora sotto sequestro. E pensare che le nostre sementi erano considerate le migliori dagli agronomi e dai tecnici del settore.
Nel 1994 e 1995 la sola canapa coltivata ufficialmente in Italia, sotto lo stretto controllo delle forze dell’ordine, è stata quella presso l’ENEA (Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente), organismo di ricerca statale. Tentativi di ricerca a scopo didattico
(in Emilia e in Valle díAosta) sono stati repressi.
Nel 1997 la Comunità europea stabilisce che la reintroduzione della Canapa ad uso industriale sia diffusa e finanziata su tutto il territorio Europeo. Negli anni successivi, grazie a quel regolamento, nascono i primi negozi italiani tematici sulla Canapa. Un mezzo che veicola anche la diffusione dell’ auto-produzione di questa pianta per fini ricreativi.
Nel nostro paese ancora una volta però i governi che si succedono, di qualsiasi schieramento, agiscono in modo schizofrenico e per il vantaggio economico di pochi privilegiati, senza produrre una politica globale su questo vegetale.
fonte:
1.Storia della canapa industriale in italia dal 1871 al 1923 di Cristina Bergoli
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