Lou Reed, Mick Jagger, David Bowie, in una foto degli anni Settanta. Tempi di grandi sperimentazioni, di eccessi, di ricerca, di contaminazione tra la musica e l'arte contemporanea. Ricordiamo ancora Lou Reed, tra i maggiori poeta del rock, scoparso il 27 ottobre 2013, dopo una fulminante malattia. Un racconto che attraversa la sua lunga carriera e che scandaglia la sua anima fragile e selvaggia. Un testo intervellato da una serie di video, dalle origini con i Velvet Undergorund, fino a una recente esibizione con l'amata Laurie Anderson...
Lou Reed e l’oscura bellezza del rock
Scompare a soli 71 anni, dopo una fulminante malattia. Il mondo lo celebra come un poeta e un genio del rock. Lou Reed è già nell'Olimpo dei miti che hanno scritto la storia della musica a cavallo tra i due secoli. Un ritratto intenso di un artista straordinario, che unì sensibilità maudit e desiderio di sperimentare.
Lou Reed è uno studentello ebreo, magrissimo, appena laureato in letteratura, passato per l’elettroshock da una famiglia perbene e perbenista di Long Island che mal digerisce quel figliolo “bizzarro” con la passione per il rock e dai gusti sessuali incerti. È uno che a ventitre anni scrive un pugno di canzoni destinate a restare nell’eternità, composte mentre i Beatles sperimentano LSD e santoni indiani, Dylan viene contestato nel suo passaggio dal folk al rock, e gli Stones uniscono il blues al rock. Assieme a John Cale, Sterling Morrison e Moe Tucker, con la benedizione e la spinta decisiva di Andy Warhol, fonda nel 1964 i Velvet Underground e ottiene la possibilità di incidere un disco. Ma a patto di caricarsi una delle vedette della Factory, una teutonica modella con un nome maschile: Nico. L’aspetto fintamente angelico della fanciulla e la sua voce profonda si rivelano perfetti nell’alternare delicatezza e viziosità. Nico canta di una ragazza che seduce gli uomini per poi catalogarli impietosamente nel proprio diario (Femme fatale), confessa di frequentare festini dissoluti (All tomorrow’s parties), per poi sciogliersi nella più disarmante dolcezza (I’ll be your mirror).
The Velvet Underground - Heroin
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Nel celebre album dalla copertina con la banana, The Velvet Underground & Nico (1966), ad abbagliare sono poi i luccichii di Sunday morning e la ricerca angosciante di stordimenti sintetici (I’m waiting for the man; Heroin). Il mondo di riferimento di Lou è già tutto qui: droga, perversioni, sessualità confuse, derelitti allo sbando, incapacità di vivere “normalmente”. Stupisce, il ragazzo, per la profondità delle proprie parole e per la cruda descrizione degli ambienti che pare impossibile aver già così ben conosciuto. Mentre il viaggio attraverso una new wave sperimentale e ardita, fa di lui uno dei grandi innovatori del linguaggio musicale, accanto ad altre figure dirompenti della scena newyorchese ed europea.
walk on the wild side ~ lou reed
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Ma forse la più grande dote di Lou è quella di mettersi a nudo e denunciare le proprie debolezze. Nel suo primo album da solista (1972), nella magnifica Berlin, avvolta da un’atmosfera da fumoso e assonnato cabaret anni ’30, confessa: “You’re right and I’m wrong, You know I’m gonna miss you Now that you’re gone”. Nel suo più celebre pezzo, Perfect day, al termine di una giornata passata a bere sangria al parco con la persona amata, ti distrugge dicendo: “You made me forget myself, I thought I was someone else, someone good”. Non è un eroe, né tantomeno una figura edificante: confessa soltanto la sua vulnerabilità e chiede attenzione, anche se poi la rifiuterà. Come dimostra quello che forse è il suo più grande capolavoro, l’album Berlin (1973), che trasuda letteralmente dolore esistenziale, quello della protagonista Caroline, una creatura fredda e solitaria, pestata dal suo uomo e che non ha paura di morire.
Lou non era solo un poeta e un grande musicista, ma un artista totale. Oltre ad aver collaborato con David Bowie, Antony & the Johnsons, Patti Smith, più recentemente con i Metallica, era anche un talentuoso fotografo di immagini suggestive, e appena pochi anni fa aveva diretto un documentario su una cugina centenaria, Red Shirley (2010). Nelle interviste era scontroso, annoiato dalla banalità delle domande e dalla prevedibilità degli interlocutori. “Non ho un messaggio da dare, non voglio dare esempi”, diceva. Era tra i pochi a poter vantare diverse partecipazioni a film d’autore nei panni di se stesso, come Blue in the face (Wayne Wang, 1995), nel quale parla del suo rapporto con New York, del fumo e dei suoi occhiali.
Lou Reed - Dirty Boulevard (live)
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Lou Reed & Laurie Anderson "I'll be your mirror" Live in Paris 2009
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