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martedì 28 marzo 2017

La differenza tra Canapa e Marijuana




Canapa e Marijuana sono la stessa pianta, parte della famiglia botanica delle Cannabaceae (sottoinsieme dell’ordine delle piante Urticales). La distinzione tra canapa e marijuana è quindi solo lessicale e dovuta all’uso comune dei termini. Sarebbe più corretto parlare sempre di canapa, sia quando si intende la variante tessile, che quando si intende quella psicoattiva.

I due nomi distinti per definire i due diversi usi si utilizzano semplicemente per convenzione: con la parola canapa si intende la varietà che si produceva in gran quantità in Piemonte, Emilia Romagna e sud Italia, e che serve per produrre alimenti (semi, olio, farina), bio-carburante, carta, tessuti, cordame, prodotti cosmetici e materiali (spesso innovativi e molto efficienti) e per la bio-edilizia.

È quasi priva di Thc (o meglio ne contiene solo in minima concentrazione), il principio attivo che provoca lo “sballo”, e non ha quindi alcun effetto psicotropo. La sua coltivazione in Italia è legale e regolamentata (per chi fosse interessato ecco un articolo a riguardo: cosa fare per coltivare la canapa). Quello della canapa a scopi industriali è stato per anni uno dei settori di punta in Italia e nel mondo, il nostro paese ne era il secondo produttore mondiale .

Per dare un’idea di quanto fosse diffuso l’utilizzo della canapa, basti pensare che anche la Costituzione degli Stati Uniti venne scritta su carta di canapa. Si trattava insomma di una pianta che consentiva di fare in modo economico ed ecologico quasi tutto ciò che poi si è cominciato a fare con il petrolio e i suoi derivati.


Con il termine marijuana si intende invece la variante di canapa ricca di Thc e quindi ad effetto psicoattivo. Questa è la pianta cantata da Bob Marley e simbolo della cultura hippie (e contemporaneamente dagli importanti e sempre più diffusi utilizzi medici e terapeutici). La marijuana è considerata una droga leggera e la sua coltivazione in Italia è vietata. Anche se sempre più paesi nel mondo la stanno legalizzando.

Quella che si usa per scopi tessili, priva di Thc, è solitamente la pianta di sesso maschile (anche se non sempre, esistono anche qualità di canapa monoiche, cioè ermafrodite, e femmine utilizzate a questo scopo) mentre quella con effetti psicoattivi è la femmina.

Per concludere, è comunque importante sapere che le distinzioni tra i termini canapa, cannabis e marijuana sono del tutto arbitrarie. Come già accennato, il nome scientifico è lo stesso, appunto per il fatto che si tratta della medesima pianta. La distinzione del nome marijuana da quello di canapa avvenne negli anni ’30 .

LA CANAPA POTREBBE SOSTITUIRE TUTTO CIÒ CHE FACCIAMO CON GLI ALBERI E PETROLIO. ECCO PERCHÉ L’HANNO PROIBITA

Perchè Canapa e Marijuana sono state Vietate - La Vera Storia

Un documentario ben fatto e completo, che riassume la storia della canapa, i motivi reali della proibizione, gli utilizzi industriali e terapeutici.

Praticamente tutto quello che oggi viene prodotto dagli alberi e dal petrolio, potrebbe invece essere prodotto dalla canapa. Non sarebbe più necessario abbattere un solo albero per produrre carta.

Combustibile pulito potrebbe essere ricavato dalla bio-massa dell’abbondante pianta di canapa. Questo nuovo combustibile potrebbe alimentare automobili, fabbriche, centrali energetiche, e potrebbe persino riscaldare le nostre case. Ecco il VIDEO del documentario realizzato da Massimo Mazzucco per Arcoiris.tv:


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lunedì 6 marzo 2017

LOTTO MARZO SCIOPERO GLOBALE


Donne in sciopero, dentro e fuori le mura domestiche

Sarà un gran giorno, l’8 marzo 2017. Sulla base dello slogan “Se la mia vita non vale, io sciopero” in ben 23 paesi, compreso il nostro, è indetto un “sciopero delle donne”. Uno sciopero che non è solo simbolico, ma reale. L’obiettivo è fermare tutto, bloccare il Paese.

In Italia e non solo. Di questo hanno parlato le duemila donne riunite in assemblea a Bologna, lo scorso weekend, convocate da non UnaDiMeno, il coordinamento di collettivi e organizzazioni che già il 26 novembre ha portato almeno 400.000 donne a manifestare a Roma contro la violenza maschile. Ma ci saranno ben 22 paesi in sciopero, l’8 marzo.

Tutto parte dall’Argentina, ultimi ad aderire gli Stati Uniti, sulla spinta della “Women’s March on Washington” del 26 gennaio scorso. Un appassionato confronto, a Bologna, sui temi della violenza contro le donne, si è preparato il piano-antiviolenza, e sui temi dello sciopero. Cosa vuol dire scioperare? Chi partecipa, come si indice?

E se va notato, ancora una volta, che l’informazione mainstream ha mancato un evento politico di prima grandezza – del resto anche la marcia statunitense è stata attivata dai social, non da tv e da carta stampata – sarebbe un peccato che la sottovalutazione mediatica trascinasse con sé anche una sottovalutazione politica. Cosa è questo sciopero? Come si mette in pratica?

Bisognerà ricordare che in Polonia, nel “black monday” del 3 ottobre 2016, nella loro azione contro la minaccia di una legge che vietasse del tutto l’aborto, le donne polacche dissero: se ci fermiamo noi si ferma tutto. Come è effettivamente è successo. Questo vuol dire sciopero delle donne, in un mondo in cui il lavoro si è completamente trasformato. Mettere tutti in condizione di guardare cosa è il lavoro, oggi. Chi più di una donna sa che il lavoro è precario, sfaccettato e spezzettato, e investe direttamente la vita? Chi può saperlo meglio di chi è stata obbligata da sempre al lavoro di cura, per di più gratuito?

C’erano molti uomini, perlopiù ragazzi ovviamente, all’assemblea. Alcuni provenienti dal mondo queer, perché lo sciopero è anche uno sciopero dai generi, dagli stereotipi e dai ruoli obbligati. Uno dei modi per metterlo in pratica sarà il kindergarten gestito dai compagni, un accudimento dei bambini già messo in pratica durante l’assemblea. Ma lo sciopero, è stato ripetuto in tanti interventi, è sospensione, astensione. Blocco delle attività. Di tutti i tipi.

Per esempio dall’insegnamento ma anche dal portare i bambini a scuola. Con l’attivazione di fondi di solidarietà, per permettere a tutte di scioperare. E qui sta il nodo centrale. Per astenersi dal lavoro, per chi lavora a contratto, occorre che lo sciopero sia indetto. Erano presenti molte sindacaliste, soprattutto Usb e Cobas, anche se non mancavano iscritte alle confederazioni, soprattutto Fiom.

C’è una forte pretesa di attenzione, da parte dell’assemblea, rivolta a tutte le sigle sindacali. Come è giusto, si tratta della più importante manifestazione politica sul lavoro prevista nei prossimi mesi. La scelta è stata di non mobilitarsi per una manifestazione nazionale. Si sciopererà insieme nelle città. Per bloccarle. Contro la violenza maschile, contro il neocapitalismo che di questa violenza è permeato, contro il dominio che entra nelle pieghe della vita quotidiana. In Italia contro il jobs act, contro la cancellazione dei diritti. Fondamentale è riconoscere che sono le donne a guidare la lotta per un lavoro diverso, oggi. L’esperienza diretta, nella propria vita, della violenza e dell’ingiustizia è forza viva, trascinante. Il coraggio è ascoltarla.
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La prima “Giornata della donna” fu celebrata ufficialmente negli Stati Uniti il 28 febbraio 1909, mentre in alcuni paesi europei si tenne per la prima volta il 19 marzo 1911 su indicazione di Clara Zetkin. Le manifestazioni furono interrotte dallo scoppio della Prima guerra mondiale finché l’8 marzo 1917 nella capitale russa le donne guidarono un’imponente manifestazione per chiedere la fine del conflitto. In tal modo l’8 marzo del 1917 sancì l’inizio della Rivoluzione bolscevica in Russia. Per stabilire un giorno comune a tutte le nazioni, nel 1921 la Conferenza internazionale delle donne comuniste decise che l’8 marzo si celebrasse la
 “Giornata Internazionale dell’Operaia”
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Le Origini della Giornata

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