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martedì 8 ottobre 2013

Disastro del Vajont : Marco Paolini - Il racconto



Marco Paolini - Il racconto del Vajont

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Disastro del Vajont dovuto a una frana pilotata

Era il 1963 e nell’ufficio di Longarone (Belluno) dell’allora notaio Isidoro Chiarelli si trovavano, per firmare un atto relativo all’acquisto di un terreno, i dirigenti della SADE, Società Adriatica Di Elettricità, proprietaria della diga del Vajont e l’Enel. Tra quelle quattro mura, le parole che il notaio udì furono più o meno queste: “Facciamolo il 9 ottobre, verso le 9-10 di sera, saranno tutti davanti alla tivù e non ci disturberanno, non se ne accorgeranno nemmeno. Avvisare la popolazione? Per carità. Non creiamo allarmismi. Abbiamo fatto le prove a Nove, le onde saranno alte al massimo 30 metri, non accadrà niente e comunque per quei quattro montanari in giro per i boschi non è il caso di preoccuparsi troppo”. Dopo di che, un avvertimento: “Lei ha un segreto professionale da rispettare, altrimenti se ne pentirà”. Sono passati 50 anni, l’onda raggiunse 300 metri d’altezza e travolse 1910 vite umane, distruggendo quello che incontrava lungo il suo percorso e devastando il paese di Longarone. Una strage che si pensava causata da una frana staccatasi dal monte Toc, di fronte ad Erto e Casso, e precipitata nel bacino artificiale creato dalla diga del Vajont, provocando un’onda che scavalcò la diga e travolse il paese sottostante.


Animazione digitale della frana del monte Toc - Vajont

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Ora, come spiega al Gazzettino, la figlia del notaio scomparso nel 2004, Francesca, racconta una verità che, all’epoca, aggiunge la sorella Silvia, docente universitaria a Padova, “costò alla famiglia l’isolamento dalla Belluno che conta. Ma nostro padre, anche se per quasi due anni non lavorò più, schivato da tutti, non smise mai di farsi testimone di quelle parole. Per questo ebbe molti problemi, pressioni e minacce. Il suo grande cruccio fu quello di non essere mai creduto, nemmeno nella sua veste ‘certificante’ di notaio”. L’onda, in quella tragica notte del 9 ottobre, arrivò alle 22.39, appena 39 minuti più tardi rispetto l’orario indicato dai dirigenti SADE. “La sera del disastro programmato mio padre ci fece stare pronti. Eravamo vestiti di tutto punto, pronti a scappare”. In paese, la maggior parte della popolozione era a casa, guardava la partita in televisione. Secondo la SADE, questa sarebbe stata la loro garanzia di tranquillità per eseguire la manovra di far scendere quella frana che pesava come un macigno sul valore dell’opera, destinata ad essere venduta all’Enel. Stando agli studi effettuati a Nove, l’onda doveva avere un’altezza di una trentina di metri: non avrebbe mai potuto provocare simili danni. Francesce di tutto questo ne parla ora, quasi 50 anni dopo, perchè “Mio padre ci provò in tutti i modi, ma non ebbe ascolto. Parlarne oggi, in cui l’attenzione mediatica è forte, per l’imminente cinquantesimo, non può che rendere onore al coraggio di nostro padre. E poi basta parlare di disgrazia: nostro padre lo chiamava eccidio”.
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